Papa Francesco .. suo messaggio al
#Meeting17,
in cui tocca le radici della nostra esistenza.
Vengono alla mente i versi di Tolkien: «Il vecchio ch’è forte non s’aggrinza.
Le radici profonde non muoiono. Dalle ceneri rinascerà un fuoco». Siamo memoria di una Presenza che ci ha incontrato e chiamato per nome. Per tenere acceso questo fuoco, Francesco ci chiede di custodire la memoria.
È il tema di quest’anno, tratto dal Faust di Goethe:
«Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo».
È così. Siamo generati dall’Altro e da altri, memorie che trascendono la memoria individuale.
Depositate nel profondo del nostro cuore, che tuttavia si possono dimenticare, ricorda il Papa.
«Dio non è un ricordo – scrive Francesco -, ma una presenza da accogliere sempre di nuovo, come l’amato per la persona che ama».
Ogni ricordo è presenza e traccia. Ometterlo ci fa smarrire. La vita diventa frenetica, si corre per paura di fermarsi e ascoltarsi; insomma, il compimento di una promessa diventa un tradimento. Per Papa esiste un’unica strada: «attualizzare gli inizi, il “primo Amore” che non è un discorso o un pensiero astratto, ma una Persona».
È l’inizio del dialogo interiore davanti alla propria coscienza e a Dio: come sto vivendo? Dove mi trovo? Verso dove vado? Quale senso ha la mia vita? Cosa ricordo dei momenti originanti col Signore? La Galilea che è il luogo, il giorno e l’ora della mia chiamata può avere luci e ombre.
Nella crisi – ha scritto don Carron – l’io umano è confuso e «il collasso del senso di umanità» genera «una debolezza non etica, ma di energia della coscienza». L’esercito dei selfie che si abbronza con gli Iphone è parte di una coscienza sociale anestetizzata, non è un soggetto libero e fedele a una memoria vivente.
L’àncora di salvezza rimane per Francesco «recuperare la memoria di quel momento in cui i suoi occhi si sono incrociati con i miei». Si vive di un’esperienza che ci precede, come quella di Zaccheo che Agostino commenta in forma lapidaria: «Fu guardato e allora vide».
Il Papa invita a «riguadagnare la propria eredità» anche come movimento ecclesiale, non a conquistarsela, ma a farla rifiorire come dono e carisma nella Chiesa a servizio del mondo. È la storia di tanti uomini e donne, che in questi anni è diventata comunità e genera comunione.
Nei fatti. Attraverso la luce che esce da tante testimonianze silenziose.
Preoccupandosi di essere anzitutto lievito e luce.
Già, le comunità. Sono queste l’antidoto a tutto ciò che non vuole includere e spinge a escludere il diverso e a fare morire il prossimo. I populismi sono solo un esempio: non accettano le minoranze, negano il pluralismo e le libertà, parlano con leader autoritari, disconoscono la realtà. La comunità, invece, custodisce la memoria di una Buona notizia e aiuta a orientarsi in un mondo che cambia, dove i carismi di ciascuno sono una ricchezza e non una competizione.
Nel cuore del messaggio firmato dal Segretario di Stato, il cardinal Pietro Parolin, Francesco ricorda una delle immagini che don Giussani lascia in eredità, quella del sacco del bambino in cui porre ciò che gli serve per crescere. La fede si trasmette dicendo a chi cresce: «Credilo con me». È la responsabilità della tradizione di porre ciò che fa bene al cuore e risponde a esigenze di vero, di bello, di buono.
È il compito di quanti vivranno l’esperienza del Meeting: riempire il sacco degli altri di vero, di bene e di buono per essere fuochi che accendono altri fuochi.
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